Piacere, dovere…volere!

“Prima il dovere e poi il piacere”. Un vecchio adagio che sembra pieno di buon senso. E non si può dire che non abbia una validità complessiva. Sarebbe generalmente impensabile immaginare di anteporre la ricerca del piacere al perseguire degli impegni che si sono assunti o che comunque sono di nostra competenza. Qualsiasi comunità, anche la più primitiva, si dà delle regole che consentono il vivere insieme. La creazione di doveri è necessaria. Ed il rispetto degli stessi assolutamente funzionale. Se però immaginiamo che è necessario rispettare appunto i propri “doveri”, come possiamo conciliarlo con la ricerca dei nostri “piaceri” e la realizzazione di un benessere personale?

 

Dovere e piacere sono in effetti conciliabili. Lo sono nella misura in cui diamo semplicemente una struttura, una direzione alla ricerca del piacere. Il piacere non è un valore assoluto, ma relativo. Il sesso, il cibo, la musica, l’ozio, per accennare una lista che potrebbe essere lunghissima, possono essere identificati come “piaceri”. Eppure è facile osservare come persone la cui giornata è dedita solo a simili attività difficilmente si ritengono felici. Infatti, ricordando la “teoria del flow” di Mihály Csíkszentmihályi , sentiamo di stare veramente bene quando svolgiamo un’attività nella quale le nostre capacità si possono esprimere nel fare qualcosa che è sufficientemente sfidante, ma non diventa uno sforzo. Poche persone ricordano tra i momenti più felici della propria vita fare zapping davanti una televisione. O anche lo stare sdraiati sotto un ombrellone.

 

Più facile invece che tra questi momenti si ricordino situazioni in cui si stava facendo qualcosa di davvero desiderato, riuscendoci appunto senza eccessivo sforzo. Da qui ci viene un importantissimo aiuto. Fa stare più bene qualcosa che si vuole davvero  piuttosto che qualcosa che viene genericamente considerato piacevole. Il desiderio quindi, il bisogno di soddisfare una propria necessità, può mettere pace tra dovere e piacere. Se la mattina vado a lavorare soltanto perché devo, perché ho bisogno di denaro per sopravvivere e ci sono quindi tutto sommato costretto, la mia percezione sarà probabilmente quella di una vita buia e triste, il tempo sarà un deserto interminabile. Ma se invece vado a lavorare con la consapevolezza che sto facendo ciò che voglio, che ho scelto il lavoro che faccio, e che ne accolgo anche gli aspetti meno gratificanti, probabilmente il mio tempo e la mia vita saranno vissuti più piacevolmente. Qualcuno dirà che questo non è sempre possibile. In assoluto, forse, ha ragione. Ma, certamente, è molto più possibile di quanto si immagini. Noi infatti tendiamo ad estendere a dismisura il concetto di dovere ed a rinunciare con molta facilità a sentire i nostri desideri. Questo per due motivi. Il primo è non aver esplorato sufficientemente la natura proprio di ciò che riteniamo doveroso. Ed il secondo perché abbiamo esplorato poco noi stessi, i nostri desideri ed i bisogni reali. Questo possiamo considerarlo un “danno collaterale” della nostra educazione: era sicuramente utilissimo per inserirci e mantenerci nella società, ma in età adulta può essere equilibrato spostando l’attenzione dall’esterno verso il interno.

 

Spesso, in sostanza, questa area di dovere è stata estesa o gonfiata oltre misura. Come abbiamo costruito la percezione di ciò che “dobbiamo” fare? Dobbiamo davvero farlo? A quali regole realmente stiamo obbedendo? Quali aspettative, magari di altre persone, abbiamo promosso a “dovere”? Siamo sicuri che le leggi silenziose a cui ci inchiniamo sono, all’esame di realtà, proprio un “dovere”? Esplorandoci invece dall’interno possiamo renderci conto di cosa davvero ci appartiene e cosa davvero vogliamo. Provando a realizzare ciò che vogliamo, ed assumendoci questa responsabilità, forse sentiremo nascere il senso del dovere proprio da noi stessi, da dentro e non più come un’ingiunzione esterna. Questo renderà meno necessaria anche la necessità di ribellarci a qualcuno o qualcosa. Magari proveremo piacere nel compiere il nostro dovere, anche se questo all’inizio potrà stupirci. Fantascienza? Moltissime persone riescono in questo compito. E riuscire in questo non dipende certo dal nascere  in condizioni di maggiore o minore agiatezza economica, ma dalla determinazione nel rendere comunque migliore la propria vita.