Il potere dell’ascolto

Avete mai provato ad osservare due persone che discutono? Magari in un talk show televisivo in cui si litiga animatamente o anche in una comune chiacchierata tra le amiche del cuore? Potrete accorgervi della qualità di questa comunicazione e di come avviene. Non intendo certamente esaurire la vastità dell’argomento in un solo articolo. E nemmeno, al momento, esplorarne le meraviglie. Il mio è un invito a partire davvero dalle basi.

 

Sarà difficile crederlo, ma osservate come molto spesso si svolge una conversazione. Uno inizia a dire qualcosa, l’altro ascolta solo i primi secondi cominciando già a pensare a cosa dire come risposta, preferibilmente qualcosa che faccia fare una bella figura. Quindi non riuscendo proprio a trattenersi inizia a parlare quando l’altro nemmeno ha finito, sovrapponendosi. A questo punto la situazione si ribalta. La risposta, a sua volta, non viene ascoltata se non superficialmente, l’attenzione va ancora una volta a cosa dover dire, si inizia a parlare, ci si sovrappone all’altro e così via. Non vi eravate mai accorti di questo? Naturalmente se poi è necessario far arrivare all’altro un’informazione importante sarà necessario dirla più volte, per riuscire ad infilarla in quello spazio minuscolo in cui l’altro sta realmente ascoltando. Allo stesso tempo una simile forma di comunicazione è per lo più inefficace e soprattutto può richiedere molte energie.

 

A vederla descritta così sembra davvero qualcosa di folle: due o più persone concentrate su cosa dovere o potere dire, con scarsissima capacità di ascolto e tutto sommato confinate in mondi distanti. Manca esattamente quello che dovrebbe esserci come premessa: uno scambio di informazioni. La situazione peggiora se poi uno dei due si sente in dovere di dare anche dei “consigli”. Il “consiglio” viene dato sulla base di dati ovviamente insufficienti e con pochissima attenzione per la realtà soggettiva, unica ed irripetibile,  dell’interlocutore. Pure una singola parola, per l’altro, può avere un significato molto diverso, a rischio di fraintendimenti o addirittura di comicità.

 

Anche persone che studiano le leggi della comunicazione e ci lavorano, che analizzano gesti, sguardi, stati dell’Io e quanto altro, a volte hanno difficoltà a migliorare, anche a questi livelli elementari, la propria conversazione. La comunicazione umana diretta, grazie all’intensità dei suoi canali (verbale, non verbale e paraverbale) è sicuramente quella più intensa ed efficace. Ma pochi sanno utilizzarla nel dialogo piuttosto che nel monologo.

 

Ed allora come si fa? Partiamo dalle basi. Immaginate che invece di parlare a voce o con un telefono si ritorni ad usare delle vecchie ricetrasmittenti. Si, proprio quelle in cui bisognava dire “passo” ed usare il pulsante in cui si trasmetteva. Impossibile parlare insieme. E come si capiva quando poter parlare? Semplice: l’altro appunto diceva “passo” e si metteva in ascolto. Oppure, quando terminava lo scambio, “passo e chiudo”. Un primo step quindi è quello di aspettare che l’altro abbia finito di parlare, ascoltando intanto attentamente. Quando si percepisce un silenzio si può iniziare a parlare; il pensiero, per sua natura, ha bisogno di pochissimo tempo per essere realizzato e codificato.

 

Se siete riusciti in questo proposito purtroppo avrete un altro problema: finire di parlare senza che siate voi stessi ad essere interrotti. Ma non è una missione impossibile. Iniziate a non farlo voi (già questo invita l’altro a non farlo) e, nel malaugurato caso, garbatamente fate notare che siete stati interrotti e non avete modo di esprimervi. Se ancora il vostro interlocutore proprio non riesce a contenersi e vi interrompe di continuo terminate serenamente la conversazione: infatti state parlando in realtà con un muro che tratterrà se siete fortunati poco o, più spesso, nulla di quanto cercate di comunicargli, quindi meglio scrivergli.

 

Non è affatto un caso che ormai quasi tutta la comunicazione mondiale sta tornando ad essere scritta, per mail, con messaggi di testo o vocali. A voce o per telefono lo scambio di informazioni è infatti drammaticamente difficile.
Riuscire a realizzare un dialogo walkie talkie è già un eccellente successo. Se invece si ha anche l’ambizione di poter dare una mano a qualcuno che vi sta chiedendo aiuto, rinunciate a dare dei consigli come prima opzione. I “consigli” difficilmente sono ascoltati e seguiti perché generano un’asimmetria, l’idea che uno dei due ne sa di più ed è migliore. il che non aiuta la condivisione. Facilmente chi riceve consigli cercherà di dimostrare che non funzionano, per ristabilire un equilibrio. Meglio ascoltare a lungo con attenzione, avendo cura delle emozioni che provate mentre ascoltate. Se non avete una competenza specifica nelle relazioni di aiuto fate soprattutto delle domande aperte, che non portano quindi ad una risposta di tipo si/no, questo per aiutare il vostro interlocutore ad esplorare la sua realtà, e rendersi conto magari di qualcosa di cui non si era reso conto, arrivando autonomamente ad una soluzione del problema.