Mangiare sano, avere un bel fisico, sono sicuramente obiettivi da perseguire per stare bene e ricercare un benessere. Ma possono l’attenzione per il mangiare sano e prendersi cura del proprio corpo diventare una patologia?
L’Ortoressia (dal greco όρθος, “retto”, “corretto” e όρεξις, “appetito”) è un termine che definisce un disturbo alimentare descritto come una forma di attenzione ossessiva alle regole alimentari, alla scelta del cibo “sano” e all’evitamento di cibi “pericolosi”. Ci si avvicina molto la Vigoressia (anche detta anoressia riversa, dismorfia muscolare o bigoressia), che è invece un’attenzione ossessiva per la forma fisica e la massa muscolare.
In Italia più di 3 milioni di persone soffrono di disturbi alimentari e di questi circa il 15% soffrirebbe di ortoressia, con una netta prevalenza degli uomini (11,3%) rispetto alle donne (3,9%). Un dato forse imprevisto. Nell’ortoressia l’attenzione non è posta sulle quantità, ma piuttosto sulla qualità del cibo ingerito. Quindi non sul peso o sulla forma corporea, ma sul mantenere il proprio corpo puro e sano. In comune con i disturbi alimentari ci sono anche il perfezionismo ed il bisogno di controllo.
Possono esserci ripercussioni anche sulla salute. Infatti, malgrado l’assoluta attenzione, si può incorrere proprio nel rischio di privarsi di importanti principi nutritivi, ritenuti poco “sani”. Infatti paradossalmente le conoscenze esibite in tema di alimentazione da queste persone non si fondano in realtà su reali competenze riguardo la nutrizione, ma piuttosto su convinzioni personali, informazioni riferite, notizie attinte per lo più dal web o da testi pseudoscientifici.
Ma il disagio maggiore è sulle relazioni interpersonali. Una certa quota di isolamento sociale può essere l’esito dell’osservanza di regole autoimposte che inevitabilmente separano da chi non le condivide. Da qui l’evitamento progressivo dei momenti sociali soprattutto di tipo conviviale: anche un aperitivo diventa un problema se è necessario reperire cibi con caratteristiche specifiche ed evitarne altri. Si tende a consumare quindi in solitudine ii pasti, che spesso richiedono una accurata preparazione. Sono possibili veri e propri tratti di fanatismo. Ci si sente superiori e ad ad evitare se non a disprezzare chi non mangia sano, fino a trovarlo poco intelligente, e poco degno di essere frequentato. Per assurdo quindi gli stessi comportamenti alimentari, adottati per giungere alla condizione di benessere, arrivano a controllare il soggetto stesso, precludendo lo stesso benessere che una vita sociale, vissuta senza prescrizioni, può regalare.
In termini psicologici si definiscono simili comportamenti ossessivo compulsivi, anche se al momento manca un preciso inquadramento. Ma uscendo dai sacri testi, come si deve considerare chi mette in atto simili strategie? Innanzitutto non bisogna certo considerarsi dei malati, nè tantomeno tentare di superare con “la volontà” quello che si arriva a percepire come un disagio. Si può maturare un’attenzione nel comprendere i motivi del proprio comportamento. Una “gentilezza” piuttosto che un “giudizio”, che è poi lo stesso motore ad averli generati. Si può naturalmente utilizzare la psicoterapia, il “prendersi cura dell’anima”, ed è sicuramente la strada più semplice ed efficace. Mi si chiede spesso se è possibile “autoanalizzarsi”, un termine che trovo onestamente privo di significato. Non si tratta infatti di comprendere chissà cosa, raggiungendo conoscenze che superano la propria memoria. Chiunque è in grado di arrovellarsi il cervello in mille elucubrazioni, che non portano in genere a molti risultati. Esplorare piuttosto che scoprire, sentire piuttosto che pensare, osservare piuttosto che analizzare. Si può fare questo certo anche da soli attraverso la pratica della meditazione. Anche qui sarà necessaria una guida, ma ci sarà molto spazio riservato alla pratica personale. Purtoppo emergeranno anche le stesse resistenze a farlo. Come una insuperabile ,inconprensibile difficoltà a fare qualcosa nel senso del proprio benessere. Ma almeno, per chi proprio non vuole rinunciare al fare tutto da solo, una strada è indicata.
Ma torniamo all’ortoressia. Come ci si può accorgere di andare in questa direzione? Pur non amando i test ve ne sottopongo uno ideato dallo stesso ideatore del termine, il dietologo americano Steven Bartman. Farlo è molto semplice, basta rispondere alle domande con un si o un no:
- Pensate più di 3 ore al giorno al cibo?
- Pensate a cosa mangiare il giorno dopo e lo preparate meticolosamente?
- Provate soddisfazione non tanto per il gusto, ma per quello che sapete che il cibo comporta a livello salutare e fisico?
- La vostra vita è di alta qualità solo se lo è il cibo che decidete di ingerire?
- L’ansia nella vostra vita è aumentata da quando avete riflettuto sulla vostra alimentazione?
- Siete diventati più severi con voi stessi nei confronti del vostro comportamento quotidiano e alimentare?
- La vostra autostima aumenta se mangiate sano?
- La prevenzione è il vostro timoniere ogni volta che dovete scegliere cosa mangiare?
- Provate senso di colpa se non mangiate in “modo corretto”?
- Pensate che mangiare bene voglia dire aver un buon autocontrollo?
Risposta positiva a:
3 domande: Ok
4-8 domande: Ortoressia
9-10 domande: Grave Ortoressia